Raboso del Piave: quello che forse non ti hanno detto

Dici Raboso e pensi al Veneto.

Un tempo chiamato “Rabbioso” o “vino del Piave”, il Raboso è un vitigno autoctono veneto a bacca rossa dalla storia millenaria, probabilmente citato con il nome di Picina da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (23-79 d.C.), con riferimento proprio al territorio del Piave.
Nella Serenissima Repubblica di Venezia del XVII secolo, come racconta Jacopo Agostinetti, il “vin moro” era consumato in grandi quantità, perché la marcata acidità permetteva al vino di resistere ai lunghi viaggi in mare senza alterare le proprie caratteristiche.

Il suo nome evoca la rabbia, la collera ed è probabilmente dovuto al sapore spigoloso del frutto. Questa caratteristica si è conservata fino a pochi anni fa quando un gruppo di vignaioli ha deciso di valorizzare il Raboso, regalandogli una seconda giovinezza e un sapore completamente nuovo.

Come hanno fatto? Ora ve lo spiego.

 

Non chiamatelo Rabosetto, Rabosino, Rabosello

“Mi dia un rabosetto” si diceva in osteria nel secondo dopoguerra. Le osterie di paese erano l’habitat perfetto del raboso, con la sua tipica nota asprigna e vivace. Il Raboso è “aspro e dolce”, come la vita, secondo Mauro Corona.

Il Raboso per anni è stato un vino da osteria, da tavola. Servito ai clienti sfuso o per mezzo di bottiglie anonime e fiaschi.

Il Rabosetto frizzante, o frizzantino appartiene ormai ad un’epoca passata, ma come spesso succede, la fama ti precede. Ed è per questo che oggi la reputazione del Raboso del Piave viene spesso offuscata da un passato letteralmente di “ombre” servite al bar.

Basta! È arrivato il momento di fare chiarezza.

Oggi il Raboso, nelle declinazioni DOC Piave e DOCG Malanotte del Piave è tutto tranne che un vino da pasto, men che meno un vino da confinare in qualche squallido bar. Si tratta di un grande vino rosso Italiano con una identità nitida ben radicata nel territorio del Piave. Una storia fatta di ombre e di luce, come tutte le storie, ma che oggi vuole riguadagnare una posizione di prestigio tra i grandi vini italiani.

 

Come diventare un grande vino rosso italiano

Ci sono i rossi toscani, i nobili vini piemontesi, le aromatiche uve del sud Italia e poi c’è lui, il Raboso. Chi non lo conosce lo evita. Chi conosce la sua passata reputazione lo evita comunque.

Perché allora dovremmo amarlo?

“O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo” diceva il Caliere Oscuro. Il Raboso è così, in perenne equilibrio tra il bene e il male, un villain redento che usa il male per fare del bene. Lo giudichi ma non puoi fare a meno di esserne affascinato.

Quello che oggi chiamiamo Raboso del Piave, è un vino completamente diverso, grazie al coraggio di poche cantine (ora un po’di più) che hanno creduto nel riscatto di questo vino. Lo hanno ingentilito e addirittura addolcito.

La spigolosità di un tempo è stata addomesticata grazie all’appassimento delle uve poco dopo la vendemmia a mano.
A fine ottobre i grappoli maturi, grandi e dalla caratteristica forma piramidale, vengono adagiati delicatamente su dei graticci, distanziati l’uno dall’altro, per favorire il passaggio uniforme dell’aria durante l’appassimento. L’acino è nero con riflessi bluasti mentre la buccia è spessa e pruinosa (una patina bianca che si deposita sulla buccia, proteggendo il frutto).

Una volta terminata la vendemmia manuale, le cassette di Raboso, impilate una sopra l’altra, vengono condotte al centro di appassimento (o fruttaio) dove sosteranno almeno 3 mesi. Durante questo periodo l’acino perde gran parte dell’acqua, concentrando gli zuccheri al suo interno. Si passa quindi alla pigiatura e al termine della vinificazione, segue un affinamento in barrique che va da 12 a 24 mesi, a seconda della denominazione. Una volta concluso questo periodo avviene l’assemblaggio con il vino prodotto da uva surmaturata in pianta, la quale, dopo essere stata vendemmiata a fine ottobre, ha già iniziato il suo affinamento in botti di legno per un periodo che va da 24 a 36 mesi, anche in questo caso, in base alla denominazione.

L’ultimo passaggio è l’imbottigliamento. Ora non resta che attendere che il vino Raboso maturi per altri 6 mesi prima di essere messo sul mercato e finalmente degustato.

Se invece desiderate portare ancora un po’ di pazienza, il Raboso si presta molto bene all’invecchiamento, fino a oltre 10 anni. Dimenticato in cantina il Raboso resta in attesa di essere ritrovato per riprendere vita in tutto il suo splendore.

Sangue del Diavolo PremiSangue del Diavolo Raboso Piave DOC

90% delle uve viene surmaturato in pianta, il 10% viene appassito.

Affinamento: 24 mesi in botti di legno da 12 hl per le uve surmaturate in pianta, 12 mesi in barriques per uve passite in fruttaio

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Notti di Luna Piena Raboso DOCG Malanotte del PiaveNotti di Luna Piena Raboso Malanotte DOCG

70% delle uve viene surmaturato in pianta, il 30% viene appassito.

Affinamento: 36 mesi in botti di legno da 12 hl per le uve surmaturate in pianta, 24 mesi in barriques per uve passite in fruttaio

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Abbinare il Raboso alla carne ma anche al pesce

Chi ha detto che il vino rosso non può essere abbinato al pesce?

La nostra cucina è sempre più una contaminazione di stili, ingredienti e interpretazioni da ogni parte del mondo. Questo ci permette abbinamenti interessanti e non convenzionali con i vini, che siano bianchi, rossi o con le bollicine.

Il Raboso del Piave è un vino austero con profumi che ricordano la marasca, la mora selvatica, la prugna, ma anche la cannella, il cuoio, la vaniglia e il pepe. In bocca è sontuoso, supportato da tannini poderosi, con un’acidità gradevole e un’ottima persistenza.

Ma qual è il piatto migliore da abbinare al Raboso?

Il Raboso da il meglio di sé con la selvaggina e i piatti di carne particolarmente speziati. Le sue caratteristiche permettono di contrastare bene la grassezza di un gulasch, ad esempio.

Tuttavia si sposa molto bene anche con il pesce spada o con il tonno rosso.

Se dovessimo attingere dalla tradizione veneta, ecco alcuni suggerimenti:

Menu di carne a prova di Raboso

  • Antipasto: crostino caldo con coppa stagionata e finferli
  • Primo: risotto salsiccia e radicchio tardivo di Treviso
  • Secondo: stufato di cervo con polenta

E se fosse un menu di pesce un po’ più fusion?

  • Antipasto: tartare di pesce spada e pepe rosa
  • Primo: paccheri con baccalà
  • Secondo: tataki di tonno

 

Raboso, leggende e territorio

Forse non sapevi che la vite del Raboso è la prima a germogliare ma i suoi frutti sono gli ultimi ad essere vendemmiati, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre.

Sono tanti gli aneddoti che intersecano la vita contadina, la leggenda e il Raboso. L’origine stessa della pianta non è del tutto chiara. Una delle leggende che si tramandano lungo il fiume Piave racconta di un uomo disperato per aver perso il raccolto a causa della siccità. Questi aveva una figlia che giocava spesso con i folletti del Piave. Vedendo il padre in lacrime la bambina smise di ridere. I folletti, allora, mossi a compassione, donarono al contadino la prima barbatella di Raboso. Il padre la piantò e poi condivise il dono con tutti gli abitanti delle grave del Piave. Tutti tornarono ad essere felici, anche la bambina.

Il carattere indomito di questo vino è assoluto protagonista di molte storie, ma la migliore è quella secondo la quale servirebbero 3 uomini forti per bere il Raboso: uno che riesca a convincere un secondo a berlo e il terzo che lo sorregga dopo averlo bevuto.

La verità è che il Raboso è perfetto per chi ama i vini da invecchiamento, con una grande struttura e complessità aromatica. È vero, sono ancora pochi a conoscerlo, ma se hai letto fino a questo punto, probabilmente sarai presto una parte di quel pubblico desideroso di offrire una chance ad un vino davvero unico al mondo.

Il Raboso del Piave lo merita. E tutto il Veneto orientale merita di essere riconosciuto per questo eccezionale nettare, uno dei vini rossi migliori d’Italia.

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